Con la sua storica etichetta Sugar, l’album è distribuito in 75 Paesi. Il suo orizzonte è il mondo. Per questo è stato concepito, cantato in cinque lingue (siciliano compreso, per Brucia la terra dal Padrino), composto di 16 evergreen tratti dalla crème de la crème del cinema internazionale che tutti conosciamo: da Rota a Morricone autore di E più ti penso, testo italiano di Mogol/Renis e in duetto con Ariana Grande (come un entrare soft nel mondo dei ragazzi: «Lei è l’idolo dei miei figli»).
Da Maria («Registrata la prima volta dallo stesso Bernstein con Carreras, e questo è il mood») a The Music of the Night di Lloyd Webber, per la quale Bocelli sorride ricordando quando a Wembley doveva cantarla in memoria di Lady Diana: «Ma non sapevo le parole, non posso usare il gobbo e Veronica doveva suggerirmele all’auricolare: non la lasciavano salire al mixer e rischiai di non cantare».
C’è anche un tango caliente dell’immortale Gardel, Por una cabeza, da Profumo di donna, e sguardi ai tenori cinematografici d’antan: «Be my love fu cantata da Mario Lanza, induce al tenorismo un po’ becero, spero non in questo caso». E il Piovani di Sorridi amore vai testo di Benigni, con il Coro delle voci bianche della Cappella Sistina. Un’antologia di sentimenti universali conosciuti e condivisi, segreto per rimanere a lungo nelle orecchie del pubblico, con alcune notevoli prove d’artista come Moon Rivere Ol’ Man River, dove ci scappa il do di petto: «È stato il pezzo più difficile», confessa Bocelli.
La sua voce risuona subito più potente e sicura, se glielo si dice il tenore, 57 anni, spiega: «Ho sempre studiato una nota ogni 2/3 anni. Trent’anni di lavoro. È facile parlare di umiltà senza mettersi in discussione. Io l’ho fatto».
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